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LIBRO SETTIMO — 1813. 115

alleati, senza menomare le schiere destinate contro la Francia, volgere sopra Italia sessantamila combattenti. Qual diversione sarà dunque per la guerra del Reno L’esercito italiano? Che mai avran prodotto gli sforzi del re e del regno di Napoli?

Nulla di bene alla patria di V. M., tutto di male al suo popolo, avvegnachè noi avremo guerra esteriore e interna. È noto a V. M. che già vi si apprestano il re Ferdinando e gl’Inglesi, il re presentandosi agl’immaginosi popoli napoletani con in mano la costituzione data e praticata in Sicilia, e Bentinck assicurandone la durata con le sue schiere e in nome della potente e libera Inghilterra. Ciò all’esterno. Nello interno (soffra in questa presente estremità dei nostri casi schiettezza estrema) le popolari scontentezze sono gravi e molte: i rigori della polizia a’ tempi del re Giuseppe, i furori di Manhes contro il brigantaggio, le attuali persecuzioni ai carbonari, ogni error di governo: tutti i travagli, tutte le morti di otto anni di rivoluzione risorgono nella memoria e nella vendetta della più parte del popolo. Se ne sono palesati i segni negli Abruzzi e nelle Calabrie; in Polistena è stato eretto l’oramai disusato albero di libertà, e bisognarono ad abbatterto forza di soldati e prudenza. L’esercito ha disciplina non salda. Lo spavento che già si aveva del re Ferdinando, gran forza interna per il re Gioacchino, dopo gli ultimi fatti della Sicilia è cessato in molti, scemato in tutti, convertito a speranza in alcuni. Ella, o sire, per ingegno e valore trionferà de’ suoi nemici, ma con quanti danni e quante morti per guerra, punizioni e vendette? E se mai dal troppo numero di nemici esterni e dalle troppe interne ribellioni fossimo vinti? Rifuggo dalla immagine di un regno preso per conquista dall’antico re Ferdinando e dagli Inglesi.

E tanti pericoli e tanti travagli qual fine avrebbero? L’imperator de’ Francesi, avendo oramai contrario il disperato coraggio di re, di eserciti e di popoli infedeli, è favola o sogno ch’egli vinca tutti e ritorni alla signoria del mondo; avrà l’impero tra l’Oceano e ’l Reno, rinunzierà alla Spagna, alla Germania, alla Italia; decaderà in possanza. Ma V. M. cadrà affatto dal trono; e noi, popolo vinto o ceduto, soggiaceremo al flagello de’ nostri antichi re, vieppiù fieri al ritorno perchè animati da conquista e da lunghi sdegni. Tutto il bene che i due re francesi avran fatto al regno sparirà in un giorno, e della rivoluzione non resterà documento, fuorichè le liste delle vendette. L’interesse dei Napoletani è dunque il conservarsi con V. M. le instituzioni del suo regno.

Il modo certo ed italiano per ottenerlo sarebbe, accordandosi V. M. col vicerè d’ Italia per un trattato comune co’ re alleati,