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LIBRO SETTIMO — 1813. 113

«arresteranno, ma gli stati nuovi saranno retrospinti verso un’odiata antichità.

Da queste verità altre ne discendono. Non speri re nuovo di tenersi in trono se l’impero di Francia è abbattuto: nè speri popolo di conservarsi le instituzioni novelle sotto antico re; che se oggi lo promette, mancherebbe dopo la vittoria; ed il primo atto della rivoluzione di Francia, come l’ultimo decreto di V. M. sarieno del pari abborriti e dannati. E perciò a me sembra aver pericoli ed interessi eguali la Francia, l’imperator Napoleone, il re Gioacchino e ’l popolo napoletano; cadere o reggere insieme tutti.

Non le parlerò che brevemente della sua fama e della sua gloria. Ella deve il diadema alle sue virtù militari; ma istromenti della giustizia di Dio sono stati Bonaparte e la Francia. Chi mai sarebbe del suo nome, s’ella volgesse il dono contro i donatori? Moreau si cuopre della patita ingiuria; si cuopre Bernadotte degl’interessi del suo regno e de’ voleri del padre. Ma Gioacchino che direbbe al mondo? E qui mi taccio, lasciando al suo proprio senno ed al suo proprio onore, l’uffizio del miglior consiglio.

Tutto impone a V. M. il debito di restar fedele alla Francia. Trentamila soldati dell’esercito napoletano difendono il regno; e basteranno, se V. M. è con essi, contro le forze siciliane ed inglesi, il cui maggior nerbo è sul Reno e in Ispagna; trenta altre migliaja si uniscano alle schiere italo-franche; e così formando poderoso esercito, portino in Alemagna ed a Vienna la guerra e la vendetta. L’Italia, ch’è nel mezzo fra due eserciti confederati, resterà obbediente, e sarà larga d’armi e danaro. L’inimico, se fosse potentissimo, non potrebbe attaccare l’Italia che nelle due estreme fronti, ossia negli stati in Napoli, facendo base la Sicilia, o negli stati del regno italico, partendosi dalla Germania. I due eserciti, di V. M. e del vicerè, comunicherebbero per linee interne: l’uno nelle sventure piegherebbe sull’altro, e saria più forte. La guerra d’Italia, che che mai avvenisse sul Reno, starebbe da sè sola per grandezza di scopo e di mole; ed a chi la maneggia darebbe cagione ed opportunità di politiche transazioni. A tale sono oggi le cose che Napoli contro Francia, a sarà tributaria d’armi contro a sè stessa, soggetta alla volontà di re avversi e potenti; ma Napoli, se resterà alleata della Francia, si eleverà a nazione libera di sè stessa e del proprio avanzamento.

E perciò restar fedele agli antichi patti, accertarne l’imperator de’ Francesi, concordarsi col vicerè d’Italia su la idea della guerra comune, questo è il mio voto. Io ne credo felice il successo; ma se fossi dubbioso, vorrei prepararmi nelle sventure la consolazione di poter dire al mondo e a me stesso: tra difficili

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