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LIBRO SETTIMO — 1813. 101


Spedito nel boltore dello sdegno, ed irrevocabile quel foglio, Gioacchino supponendo immensa ed intemperabile l’ira del cognato; si apprestò alle difese; ma d’altra parte la regina, per la saputa natura di lui, e per voci che gli sfuggivano dal facile adirato labbro, indovinando i sensi dello scritto, interponevasi e molciva quelle nemicizie. Qui è il luogo di riferire un avvenimento ignoto fuorchè ad alcuni, cominciandone il racconto da’ suoi principi nel 1810.

XLVI. Conosciuta in quel tempo da’ Napoletani l’indole di Gioacchino, audace, ambiziosa, facile a’ consigli, avida di ogni gloria; osservando che l’impero francese, capo e sostegno degli stati nuovi, non aveva per anco la saldezza che vien dal tempo, e che l’obbedienza dell’esercito, il rispetto del popolo, il timore delle esterne nazioni, perciò la possanza francese risedeva nella vita di Bonaparte esposta, oltracchè al fato comune, a’ pericoli di guerra continua ed a’ precipizii delle proprie imprese; vedendo tanta mole sopra fondamento sì fragile, pochi Napoletani, ed uno di altra parte d’Italia, non potenti, ma vicini a’ potenti, pensarono che unica salvezza nostra sarebbe stata la unione d’Italia. Il maggior intoppo (la varietà e l’avversione tra popoli italiani) era tolto, da che tutta Italia aveva in comune i codici, la finanza, i bisogni, il comporre, l’ordinare, il comandare delie milizie; e però erano uguali dall’Alpi al Faro le armi, le ricchezze, i desiderii, elementi di vita e di forza di un popolo.

La unione potea quindi credersi operata, perchè le cose pubbliche stavano unite, e non altro abbisognava a legittimarla che una opportunità ed un uomo; quella tenevasi certa fra tanti moti di guerra e di politica, questo si sperava in Gioacchino; nè già per carità d’italia, ma per propria ambizione. Palesato a lui quel disegno, lo gradì; ma temendo il sospettoso ingegno di Bonaparte, ne fece il maggior segreto dello stato, e sì che lo ignoravano i suoi ministri e la moglie. A lui, ricco di gloria militare, scarso di fama civile e di esperienza di regno, si conveniva, per acquistar l’animo degl’Italiani, reggere Napoli con modestia e senno, fondare opere utili, onorare gli scienziati di tutta Italia, dare al suo popolo costituzione politica dicevole a’ tempi ed a’ costumi; e nell’esterno essere fedele ma non soggetto all’imperator de’ Francesi, e nemico a’ nemici della Francia per alleanza fra i due stati non come per proprio sdegno. Erano queste le armi oneste che si adoperavano alla conquista d’Italia, ma non libere perchè trattavansi nascostamente, col segreto e quasi con le arti del delitto.

Gl’instigatori di Gioacchino a quella impresa, i medesimi che li avevano secondato nelle prime querele coll’imperator de’ Francesi ed accesagli brama d’indipendenza e lusingato con la fiducia ch’ei