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LIBRO PRIMO — 1748-59. 83


I vizii del terzo-stato passarono nel governo, e divennero artifiziata natura del popolo; quindi leggi dispotiche, finte paci, promesse menzognere, e certo gergo di argomenti o parole sostituito alle sentenze immutabili del dovere e della giustizia. Sono dottrine curiali que’ trattati nulli perchè di necessità; que’ giuramenti mancati perchè non assentiti dalla coscienza; que’ patti concordati coi soggetti e non tenuti perchè il re non patteggia co’ vassalli; quel chiamare occupazione la conquista, ribellione quella che fu legittima obbedienza de’ popoli: e le Lante altre sovversioni del vero e del giusto udite e patite a’ dì nostri. E qui, anticipando i tempi. accennerò com’anche per fatti susseguenti si manifesti la verità del mio discorso. Dall’anno 1806 al 1815, per le buone leggi de’ due re francesi e le divise proprietà della chiesa e de’ feudi, crescendo il terzo-stato dei nuovi possidenti, l’autorità de’ curiali minorò. E dopo quel tempo i moti della nazione napoletana hanno secondato i meglio appresi interessi del popolo, che sono: sicurtà de’ possessi e delle persone, leggi, consulte pubbliche, adunanze nazionali, stabilità del presente, guarentigia dell’avvenire. Questi medesimi, ora che scrivo, desiderii segreti e sfortunati, saranno col maturare del tempo manifesti e felici; se non so quale rivoltamento politico non cangia in altro il terzo-stato del regno. ritorno alla storia di Carlo.

LIX. A’ tempi del quale i curiali non appieno esperti delle nuove foro forze, arrecavano piccolo e non avvertito danno, godeva il re, godevano i soggetti regno di pace, allorchè venne a rompere le speranze di maggiore felicità la morte di Ferdinando VI re di Spagna, che, senza prole, lasciò il trono vacuo a Carlo di Napoli. Appena saputo l’avvenimento, i ministri spagnuoli gridarono Carlo re di quel reame, ed in suo nome reggevano. Delle quali cose per celeri messi avvisato il re, nominò reggente per la Spagna la regina Elisabetta sua madre che stavasi, come ho detto, ritirata in un suo castello, ma non deposto il regio ingegno e le vaste speranze di gloria e di comando. Per la successione a suoi reami, essendo per lui necessità il provveder subito a quella di Napoli e trasmetterla, sentivasi agitato da doppio affetto, avvegnachè numerosa prole, sei maschi e due femmine, moglie ancora giovine rallegravano la reggia; ma il primo nato, già in età di dodici anni, era infermo di corpo, scemo di mente, inetto a’ negozii, e per fino a’ diletti della vita, disperato di guarigione. Contendevano perciò nell’animo del padre rompere la successione di natura, pubblicare al mondo la imbecillità del figliuolo, ovvero affidare la maggior corona e la discendenza ad uomo stolido e cadente. Vinse la ragione di stato. Chiamò i baroni, i magistrati, i ministri, gli ambasciatori delle corti, i medici più dotti, questi esaminatori del principe Filippo, gli altri