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LIBRO QUINTO — 1805. 333

paese insino a Capua, è solamente guernite le fortezze. Indi a poco, per lo appressar del nemico e la freddezza dei soggetti, disperando difese fuorchè in Calabria dall’asprezza dei luoghi e dall’indole armigera degli abitatori, la regina inviò le schiere assoldate (sedicimila uomini) sotto il generale Damas nelle strette di Campotanese. E l’11 di febbrajo ella con le figliuole e quanti rimanevano ministri ed alti partigiani sopra vascello partì, mentre i due principi Francesco e Leopoldo per la via di terra celeremente raggiunsero e trapassarono l’esereito di Calabria, ponendo le stanze in Cosenza; e di là incitando per comandi e preghiere alla guerra.

Due bandi pubblicò il vicario partendo: uno esponeva la perfidia del nemico, la sua durezza in rifiutare gli accordi, la mira manifesta d’impadronirsi del regno; malvagità tanto peggiori (egli diceva) quanto più la corte di Napoli era stata mansueta, leale, e sempre amica di concordia e di pace. E che sebbene i sudditi si mostrassero pronti a sostenere con l’armi le ragioni del trono, l’animo pietoso del re non tollerava che il suo popolo sfidasse lo sdegno e la vendetta di barbaro nemico; e che perciò questa parte di regno vuotata da milizie piegasse al destino, e serbando in cuore costante affetto al re, padrone dato da Dio, aspettasse la sua liberazione dalle armi borboniche; le quali poderose e risolute distruggerebbero nelle Calabrie, sotto il comando suo e del suo fratello principe Leopoldo, le schiere francesi, per poi volgere alla capitale e riassumere il governo de sudditi amatissimi.

Detti fallaci e derisi. L’altro bando nominava al consiglio di reggenza il tenente-generale don Diego Naselli Aragona, il principe di Canosa uomo di onesta vita (padre a quello dello stesso nome noto oggi per diversa fama), il magistrato Michelangelo Cianciulli.

XXXIII. Era certa la conquista ma di alcuni giorni lontana; e certo il nuovo re, ma reggeva lo stato l’autorità dell’antico. La plebe, avida, scatenata, infrenabile da forze legittime perchè mancanti o svogliate, certa di perdono dal vincitore per allegrezza e prudenza della conquista, e perchè le colpe o i colpevoli si sperdono fra i tumulti, minacciava e impauriva gli onesti della città; mentre i reggenti, deboli per vecchiezza, inesperti al governo dei popoli ed a’ pericoli, timidi dell’antico re, timidi del nuovo, stavano fisi a mirar gli eventi e smarriti. I partigiani dei Francesi assembrati nascostamente per provvedere alla propria salvezza ed alla quiete della città, ma senza ordini o capi, varii d’animo e di senno, sperdevano le ore, che veloci e pericolose fuggivano; quindi tra loro moti agitati, costernazioni, timori; ma pure speranze ed allegrezza. E fu ventura che i primi della parte borbonica fossero fuggitivi, così che la plebe divisa pur essa ed incerta, ignorando il modo di prorompere, dissipava i tempi e le occasioni.