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LIBRO QUINTO — 1803. 311

imperciocehè le nazioni godono dei materiali giovamenti, e non già delle immagini di felicità ideale non mai raggiunta. I settarii di repubblica, pochi e impotenti, mormoravano; i settarii dell’antico re, meno di numero e spregevoli, dicevano rapita la clamide regale; il mondo vedeva in Bonaparte il capo e il termine della rivoluzione. Godevano i re stranieri della svergognata repubblica, e, non prevedendo l’avvenire, dicevano in que’ fatti essere la prova che il reggimento di un solo fosso necessaria condizione della umanità; ma nulla rimettendo della antica superbia, volsero a sdegno per Bonaparte gli odii che portavano alla repubblica, odii funesti alla pace del mondo.

L’isola di Malta non era restituita dagl’Inglesi; e i rifiuti, sprovvisti di ragione, palesavano il pensiero di nuova guerra. Ma pure in Napoli si godevano i benefizii della pace, e si sperava dagli ammonimenti delle sventure alcun senno a’ popoli ed a’ principi, Allorchè, l’11 di gennaro del 1803, per cagioni a me ignote, benchè cercate ne’ registri e nella memoria de’ contemporanei, comparve regal dispaccio in questi sensi: «Non essere bastato al ravvedimento de’ malvagi le sofferte calamità, vedersi rianimate le speranze di sconvolgimento, e tessuto novelle macchinazioni e congiure, così all’interno come nell’estero, da que’ Napoletani che sono rimasti fuori; dispregiando il grazioso invito del re, la tenera voce del perdono e gli allettamenti della patria; esser quindi necessità e giustizia contenere la sovrana clemenza, e, castigando i colpevoli, rendere ai pacifici soggetti la desiderata sicurezza. Perciò comandava il re che la giunta di stato (la medesima che pur si diceva sciolta dopo la pace di Firenze) spedisse i processi e i giudizii; e, ciò fatto, e poi bruciate per segno di oblio le carte de’ suoi archivii, cessasse da quell’uffizio, e si componesse altro magistrato a giudicare co’ modi appellati di guerra i misfatti di maestà.» Proseguirono senza grido i giudizi, non fu sciolta la giunta, congerie grandissima di processi fu bruciata. Nè veramente per l’oblio de’ fatti e dello sdegno, ma per distruggere i documenti della malvagità de’ giudizii. I posteri avrieno letto cose crudelissime; giovani imberbi giustiziati o espulsi, castigato il recidere de’ capelli o il crescer de peli sul mento, punita l’allegrezza o l’assistenza alle feste della libertà, prescritte le condanne o mutate a piacimento dei principi, e in somma tutti gli orrori della tirannide, tutte le pazienze della servitù. Ma se il fuoco incenerì gli archivii, restarono gli annali e la memoria degli uomini.

L’editto rigoroso del re, svegliando le mal sopite passioni di parti; riagitò le furie della polizia, e ricomparvero a folla su la mesta scena della città le spie, i denunzianti, gli accusatori. Il professore di fisica Sementini, trattando un giorno dell’elettricismo promise a’ discopoli per lo indimani l’esperimento della batteria