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LIBRO QUINTO — 1801. 307

tenere le fazioni, far conoscere a’ popoli che la repubblica era amica sincera del re. È mia brama, soggiungeva Bonaparte, che il generale Soult con gli ajutanti di campo, gli uffiziali e le schiere della repubblica vadano i giorni festivi con suoni musicali alla messa, e conversino confidentemente co’ preti e con gli uffiziali del re. Tanto era mutato lo stile della prima repubblica, in peggio al dire degli impazienti, e in meglio al pensar degli altri, amatori di possibile civiltà. Per le quali narrate cose, disserrate nel regno le prigioni, palesati i nascondigli, aperte agli esuli le frontiere, tutti i patti adempiuti, ricomparivano i segni beati della pace.

Allora il generale Murat in Firenze per comando del primo console, che sospettava gli esuli italiani (avendone trovati nelle congiure di Ceracchi e della macchina infernale), o per senno proprio, consigliò a’ fuorusciti romani e napoletani tornare in patria con queste parole che qui trascrivo.

«Murat, generale supremo a’ rifuggiti napoletani e romani. Voi che lontani dalla patria penaste lungo tempo, tornate ad essa. La Toscana generosa nelle vostre sventure può sostenere appena L’esercito francese, sì che voi ormai liberi di rimpatriarvi non potreste chiedere ad essa nuovi soccorsi, io non potrei costringerla a fornirli.

Ritornate al vostro paese che vi desidera; egli è pur dolce rivedere la terra nativa! Non temete ingiuste persecuzioni; la Francia, poi che in essa voi confidaste, ha stipulato, ne’ trattati coi vostri governi, la sicurezza delle vostre persone, de’ vostri beni. Non è fallace la protezione del gran popolo, riposate all’ombra di lei.

Napoletani e Romani, scacciate dunque dall’animo i timori, e per carità di voi stessi e della patria perdonate alle vendette, abbandonate i pericolosi disegni. Apprendete dal nostro esempio quanto costino le rivoluzioni; credete ch’è loro essenza produrre in ogni terra, in ogni tempo sventure uguali, nè sperate che il cielo mandi sempre opportuno un genio potente a trattener le rovine, ed a fissare la miglior sorte dello stato.

La storia nostra insegni a’ depositari dell’autorità governar con giustizia, onde scansare la collera tremenda de popoli; e insegni a’ popoli rispettare i depositarii dell’autorità, per non precipitare ne’ disordini civili e nel terribile stato senza leggi. — Murat.»

Eppure, sensi come questi benevoli e sapienti hanno avuto acerbi detrattori; ma chi legge istorie contemporanee non iscorderà che maledire a chi cadde è viltà facile, antica, impunita, come biasimare i potenti è prova ardimentosa di verità.

Quando al re di Napoli fu noto il trattato di Firenze, mutando in atti di governo i patti della pace, dispose le stanze per i Francesi negli Abruzzi e nelle Puglie, ordinò le amministrazioni per il man-