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LIBRO QUINTO.

REGNO DI FERDINANDO IV.

(anno 1799 a 1806.)


CAPO PRIMO.

Il re Ferdinando Borbone rifacendo il governo eccede in tirannide.

I. Caduta la repubblica, finita la guerra dei campi, cominciò altra guerra più crudele ed oscena dentro la città. I vincitori correvano sopra i vinti: chi non era guerriero della santa fede o plebeo, incontrato, era ucciso; quindi le piazze e le strade bruttate di cadaveri e di sangue, gli onesti fuggitivi o nascosti, i ribaldi armati ed audaci; risse tra questi per gara di vendette o di guadagni, grida, lamenti; chiuso il foro, vote le chiese, le vie deserte o popolate a tumulto, aspetto di città mesta e confusa come allora espugnata. E la fierezza, saziata di sangue, voltasi all’avarizia, fingendo che i giacobini stessero nascosti nelle case, non lasciò luogo chiuso; e, appena aperto, vi rubava a sacco: i lazzari, i servi, i nemici e i falsi amici denunziavano alla plebe le case che dicevano dei ribelli; ed ivi non altro che sforzare, involare, uccidere; tutto a genio di fortuna. Traendo i prigioni per le vie nudi è legati, li trafiggevano con le armi, gli avvilivano per colpi villani e lordure su la faccia; genti di ogni età, di ogni sesso, antichi magistrati, egregie donne già madri della patria, erano strascinati a quei supplizii; così che i pericoli della passata guerra, la insolenza delle bande regie, le ultime disperazioni dei repubblicani, tutti i timori degli scorsi giorni al paragone delle presenti calamità parevano tollerabili. Il cardinale Ruffo, gli altri capi della santa fede ed i potenti su la plebe, validi ad accendere gli sdegni, non bastavano a moderare la vittoria.

Se descrivendo queste supreme sventure di Napoli io m’incontro nei sensi e nelle parole di Cornelio Tacito là dove rappresenta lo stato e la faccia di Roma, dopo ucciso Vitellio, sappia il lettore che avvisatamente non ho voluto fuggire la simiglianza o repetizione di quello autore gravissimo, opportuna a dimostrare che, per variar