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258 LIBRO QUARTO — 1799.

tentavano per la crudeltà delle genti della santa fede. Le promesse dei premii cadevano; menomavano le torme, però che i meno avari, saziata l’avidità, volean godere vita oziosa e sicura. E finalmente avendo a fronte gente animosa e disperata, il cardinale temeva per sè e per gli statichi (tra quali un suo fratello) custoditi nel Castelnuovo. Nelle veglie angosciose di quella notte, decise mandar legati al direttorio della repubblica per trattar di pace; e a giorno pieno, meglio computate le morti e i danni della sortita, le fughe, lo sbalordimento ne’ suoi campi, uditi a consiglio i capi delle truppe e i magistrali del re, tutti proclivi agli accordi, inviò messaggio a Megèan con le proposte di accomodamento convenevole a’ tempi, alla dignità regia ed a causa vinta. Gli ambasciatori di Ruffo ed un legato di Megèan riferirono quelle profferte al direttorio della repubblica.

XXXVI. Qui erano maggiori e più giuste le inquietudini; ma l’offerta di pace le consolò, altri credendo diserzioni o ribellioni nei campi della santa fede, altri vittorie francesi nella Italia, ed il maggior numero vicina e vincitrice la Gallo-Ispana. Risposero che a governi liberi non era lecito concedere o rigettare senza consultazioni, che il direttorio consulterebbe. Frattanto a preghiere del legato di Megèan fu concordato armistizio di tre giorni; ed il ministro Manthonè, al partire degli ambasciatori, disse a’ borboniani che se il cardinale nella tregua non sapesse frenare le sue genti, egli uscendo dal forte impedirebbe le crudeltà, le rapine, il sacco infame della città. Rimasti soli consultavano; e a poco a poco dubitando delle immaginate felicità, inchinavano gli animi agli accordi. Manthonè, solo fra tutti, proponeva partiti estremi e generosi, pari al suo cuore, non pari alle condizioni della repubblica. Oronzo Massa generale di artiglieria, chiamato a consiglio e dimandato dello stato del castello, rispose il vero così: «Siamo ancora padroni di queste mura perchè abbiamo incontro soldati non esperti, torme avventicce, un cherico per capo. Il mare, il porto, la darsena son del nemico, l’ingresso per la porta bruciata è inevitabile, il palazzo non ha difese dalle artiglierie, la cortina verso il nemico è rovinata, infine, se mutate le veci io fossi assalitore del castello saprei espugnarlo in due ore.» Replicò il presidente: «Accettereste voi dunque la pace?» «A condizioni, rispose, onorate per il governo, sicure per lo stato, l’accetterei.»

Si consumava la tregua, la Gallo-Ispana non appariva, le forze repubblicane menomavano per diserzioni, dechinavano di proponimenti. Nella seconda notte fu rifatta la distrutta batteria di Chiaja, ed altra nuova se ne formò nella via del Porto; ma per lamentanze e minacce del direttorio, sospese le opere, il cardinale accertò che se al dì vegnente non si fermava la sperata pace, egli farebbe ab-