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170 | LIBRO TERZO — 1796. |
tra le divise squadre imperiali, per tre battaglie le ruppe, e ritornò all’assedio di Mantova, trovando nelle trinciere gran parte de’ munimenti colà rimasti; però che tanto celere fu la vittoria che mancò tempo al presidio, come poco innanzi era mancato agli assediatori, di trasportare o distruggere macchine ed opere. Tremarono i governi contrarii alla Francia, quanto più mentitori e superbi tanto divenuti più timidi e vili. La corte di Roma riprotestò l’amicizia, ma i Francesi occuparono le Legazioni, e non concederono sospension d’armi che a patti gravi per la santa sede. Il re delle Sicilie pregando che l’armistizio di Brescia divenisse pace durevole, spedì ambasciatore a Bonaparte e al Direttorio il principe di Belmonte, il quale in Parigi li 11 di ottobre ottenne pace a’ seguenti patti:
«Napoli, sciogliendosi dalle sue alleanze, resterà neutrale; impedirà l’entrata ne’ suoi porti a’ vascelli, oltre il numero di quattro, de’ potentati che sono in guerra; darà libertà a’ Francesi carcerati ne’ suoi dominii per sospetto di stato; intenderà a scuoprire e punire coloro che involarono le carte al ministro di Francia Makau; lascerà libero a’ Francesi il culto delle religioni; concorderà patti di commercio che diano alla Francia ne’ porti delle due a Sicilie que’ medesimi benefizii che le bandiere più favorite vi godono; riconoscerà la repubblica Batava, e la riguarderà compresa nel presente trattato di pace.»
E per patti secreti:
«Il re pagherà alla repubblica francese otto milioni di franchi (due milioni di ducati); i Francesi prima che si accordino col pontefice, non procederanno oltre la fortezza di Ancona, ne seconderanno i moti rivoluzionarii nelle regioni meridionali dell’Italia.»
Questo ultimo patto, e il silenzio su i Napoletani prigionieri per cause di maestà, costarono al nostro erario un milione di franchi in doni e seduzioni; e perciò l’ingegno della tirannide e l’avarizia de’ liberi governi fecero pagare a noi stessi l’infame prezzo delle nostre miserie. Quella pace non si stringeva (tanto il Direttorio era sdegnato contro Napoli) se Bonaparte non consigliava dissimular le ingiurie sino a che l’Austria fosse vinta ed oppressa. «Oggi, ci diceva, mancherebbero le forze al risentimento, e verrà certo il giorno punitore delle colpe presenti e delle future, perciccehè gli odii de’ barbari per la Francia non cesseranno prima che tutto il nuovo diventi antico.» In quel tempo le sorti della repubblica erano prospere; l’esercito piemontese vinto, tre eserciti d’Austria disfatti, Mantova cadente, fermata pace con la Sardegna e con la Prussia e la Spagna, chetate le Russie perla morte della imperatrice Caterina e l’indole pacifica del successore, ordinati a repubblica e collegati alla Francia alcuni stati d’Italia, tributarii o neutri gli altri principi italiani. Così stavano le cose al finire dell’anno 1796.