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LIBRO TERZO — 1794. 161

corso de’ sostenuti offizii, e lo diceva degno di offizii maggiori, tanto più ne’ presenti pericoli dello stato. Il quale grido che, quando è di popolo, raccomanda, rinforzando l’ambizione del giovine gli attirò sguardi significanti della regina, biechi del ministro; tanto più che questi nella corte e nello stato non vedendo altro uomo che sollevasse nè manco il desiderio a quella altezza, divisava che lo spegner quel solo gli era certezza e durata di fortuna.

Sapeva il modo: l’accusa di maestà; ma bisognavano tempo e ordimenti alla calunnia. Fra i condannati dalla giunta era un Annibale Giordano professore di matematica, egregio per ingegno, malvagio per natura, usato ed accetto in casa Medici. Egli (non è ben chiaro se richiesto o scaltro) accusò il cavalier Medici di complicità nella congiura; ma il ministro Acton, tenendo celato il foglio, premiato il delatore, impostogli secreto, adunò altre accuse, sottoscritte del nome degli accusatori, o senza nome con la promessa di palesarlo, quando al reo fosse tolta la smisurata autorità di reggente. Unite le carte in processo, andò il ministro a pregare i due sovrani di ascoltarlo in privato; e concessogli, disse:

«Corrono tempi tristi e difficili, spesso la fedeltà confusa con la fellonia, il vero col falso; se non credi alle accuse, pericola lo stato; e, se le credi, adombri la quiete de’ principi, e forse offendi l’onestà e la giustizia. Perciò ne’ casi leggieri, io, con l’autorità che le maestà loro mi hanno concessa, opero e taccio; se non che delle asprezze fo me autore, delle blandizie, il principe. Ma ne casi gravissimi dove non basta l’autorità di ministro, mi vien meno l’animo di operare o di tacere; gran tempo ho taciuto grave affare (mostrò le carte): oggi più lungo silenzio mi farebbe colpevole. Annibale Giordano, reo di maestà tra i primi, con foglio firmato del suo nome, animosamente accusò di complicità nella congiura il reggente della vicaria cavalier de Medici.» (Parve maraviglia in viso del re, indignazione alla regina; ed egli, come a que’ segni non avvertisse, proseguiva:) «La enormità del delitto scemava fede all’accusa; giovine alzato a’ primi gradi dello stato, avendo in prospetto gradi maggiori, nobile per famiglia, piacente a’ sovrani, venerato da’ ministri (e da uno di essi anche amato), come credere che arrischiasse tanti benefizii presenti per sognate speranze di avvenire? Tenni l’aceusa malvagia, e di nemico. Ma dalle regole di pubblica sicurezza sapientemente da vostra maestà ordinate, non isfuggendo verità che assicuri o che incolpi, si palesarono altri fatti ed altre pruove contro il reggente; egli assiste al club de’ giacobini radunati a Posilipo sotto specie di cena, per congiura; egli conferì con La Touche; per lui fallò l’arresto de’ giacobini che andavano al vascello francese; del quale mancamento io mi avvidi, ma lo credetti mala ventura

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