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116 LIBRO SECONDO — 1783.

muoto cento secondi: sentito sino ad Olranto, Palermo, Lipari e le altre isole Eolie; ma poco nella Puglia e in Terra-di-Lavoro; nella città di Napoli e negli Abruzzi, nulla. Sorgevano nella Piana centonove città e villaggi, stanze di centosessantasei mila abitatori: e in meno di due minuti tutte quelle moli subissarono con la morte di trentaduemila uomini, di ogni sesso ed età, ricchi e nobili più che poveri o plebei: alcuna potenza non valendo a scampare da que’ subiti precipìzii.

Il suolo della Piana, di sasso granito dove le radici del monte si prolungano, o di terre diverse trasportate dalle acque che scendono dagli Apennini, varia di luogo in lunogo per saldezza, resistenza, peso e forma. E perciò, qualunque fossero i principii di quel terremuoto, vulcanici secondo gli uni, elettrici secondo gli altri, ebbe il movimento direzioni d’ogni maniera, verticali, oscillatorie, orizzontali, vorticose, pulsanti; ed osservaronsi cagioni differenti ed opposte di rovina: una parte di città o di casa sprofondata, altra parte emersa; aberi sino alle cime ingojati presso ad alberi sbarbicati e capovolti; e un monte aprirsi e precipitare mezzo a diritta, mezzo a sinistra dell’antica positura; e la cresta, scomparsa, perdersi nel fondo della formata valle. Si videro certe colline avvallarsi, altre correre in frana, e gli edifzii soprapposti andar con esse, più spesso rovinando, ma pur talvolta conservandosi illesi, e non turbando nemmeno il sonno degli abitatori; il terreno fesso in più parti formare voragini, e poco presso alzarsi a poggio. L’acqua, o raccolta in bacini, o fuggente, mutare corso e stato; i fiumi adunarsi a lago o distendersi a paduli, o, scomparendo, sgorgare a fiumi nuovi tra nuovi borri, e correre senz’argini a nudare e insterilire fertilissimi campi. Nulla restò delle antiche forme; le terre, le città, le strade, i segni svanirono; così che i cittadini andavano stupefatti come in regione peregrina e deserta. Tante opere degli uomini e della natura nel cammino de’ secoli composte, e forse qualche fiume, o rupe eterna quanto il mondo, un solo istante disfece. La Piana fu dunque il centro del primo terremoto: ma per la descritta difformità del suolo vedevi talora paesi lontani da quel mezzo più guasti de’ vicini.

Alla mezzanotte del medesime dì vi fu nuova scossa, forte pur essa ma non crudele quanto la prima: perciocchè le genti, avvisate dal pericolo e già prive di casa e di ricovero, stavano attonite ed affannose alio scoperto. Solamente più soffersero dal secondo moto che dal primo le nobili città di Messina e Reggio, e tutta la contrada della Sicilia che dicono Valdemone. Messina in quell’anno 1783 non aveva appieno ristorato i danni del tremuoto del 1744, così che scuotendo palagi e terre già conquassati, tutto precipitò; si accumularono nuove a vecchie rovine. Duravano i tremuoti, sov-