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ambizioni non dovevano aggirarsi e rintronare intorno alla reggia del Vaticano, ai tribunali dell’Inquisizione, agli empori dei Gesuiti!

Or bene; sembra, come dissi, che il Cicognini trasportato dalle tranquille sponde del Bisenzio, ove forse udivasi tuttora il lontano eco delle festevoli celie del Firenzuola, alle vorticose onde del Tevere intorno a cui suonavano le strane favelle dei convenuti dai due mondi, di nulla si curasse e di nulla quasi si avvedesse. Arrivato a Roma sulla fine dell’ottobre, nei primi del dicembre entrò a servire il cardinale Ioses di Camerino; nel febbraio si mise in abito di prete, quindi ebbe la prima tonsura.

Sette anni stette il Cicognini, prima coll’ufficio di sotto segretario, poscia di segretario presso il detto cardinale, il quale ai 26 marzo 1620 passò all’altra vita. Allora, avendo egli acquistata qualche pratica e perizia negli affari, andò per la trattazione di certi interessi a Napoli, e per la via aspra e montana dell’Abruzzo e dell’Aquila rivenne a Roma. Dopo sette anni di assenza dalla sua città natale, sentì desiderio di rivederla, e sulla fine del maggio qua venne a risalutare i suoi congiunti, i suoi famigliari, i luoghi cari delle giovanili reminiscenze e de’ primi studi.

Ma le afflizioni che incontrano quasi sempre coloro che furono peregrini lunghi anni, quando ritornino all’amata patria, toccarono pure al Cicognini. Egli non potè rivedere un suo dilettissimo zio materno, Piero Colippi,