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che nel suo animo, e dentro la sua famiglia s’annidasse certo religioso misticismo, non difficile a ritrovarsi, spinto talvolta fino alla esagerazione, in molte famiglie di quei tempi. L’irradiazione di un ascetismo melanconico e severo, dopo cessata la vivacità e l’irrequietezza della vita repubblicana, era penetrata a poco a poco nelle città e nelle ville della Toscana; e alle consuetudini rumorose delle dispute politiche e letterarie, e delle armi s’erano sostituite quelle ben diverse delle prediche, delle processioni e dei rosarii.

Le due uniche figliuole del Niccolai presero il velo, e scomparvero dietro i cancelli del monastero di S. Caterina in Prato; la moglie che di poco gli sopravvisse, impegnò morendo il suo asse nello stabilire un’ufiziatura di messe; egli stesso chiuse gli occhi donando la sua fortuna ai Gesuiti, e dichiarando di voler essere sepolto nella chiesa dei frati di S. Francesco, cinto del cilizio della penitenza, accompagnato da due soli lumi alla sepoltura.

Qualche notizia più minuta m’è riescito raccogliere intorno al maggiore fondatore; e me ne valgo, per fermarmi su di un uomo, il cui nome non solo è legato a un quartiere della città e al Collegio, ma, per ragione del Collegio, è noto in molte provincie italiane ed anche fuori.

Francesco Cicognini figlio di Cosimo e di Dionora Colippi nacque in Prato il 2 giugno del 1590 in giorno di sabato. Nel novembre del 1606 andò a studio a Pisa nel Collegio Ferdinando; e nel 1610 fu nominato Rettore di quel medesimo Collegio. Egli rinunciò l’onorato ufficio, e