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di Filosofia disputavano gli uomini o gli scolari già provetti.

Quintiliano, che nel libro primo delle sue Istituzioni oratorie parla a lungo delle scuole; che stabilisce confronti fra l’insegnamento pubblico e il privato; e si diffonde lungamente nel dar precetti o consigli ai genitori, ai maestri, ai giovanetti; non mai usa di frasi, donde sia lecito arguire, che alle scuole de’ suoi contemporanei fossero annessi i convitti. Che anzi confutando egli l’obiezione che nelle pubbliche scuole, le quali da lui erano preferite allo domestiche, corressero rischio i giovani di essere guastali; risponde che i costumi erano il più spesso corrotti fra le intime pareti dai tristi esempi di famiglia; e che i giovani già guasti e depravati non ricevevano dalle scuole questi mali, sibbene ve li portavano. Del resto non molli erano nell’antichità coloro che vacassero agli studi; sia per la difficoltà di trovare maestri; sia per l’altra non minore di avere libri per studiarvi, pergamene per iscrivervi, il cui prezzo era altissimo; e di imparare senza l’aiuto delle grammatiche, dei vocabolari e di cento altri sussidi, che l’invenzione della carta e della stampa rese facili ad aversi con poca spesa. Venne più lardi Carlomagno, che ne’ suoi Capitolari ordinò ai monaci di allevare entro i chiostri qualche porzione di giovinetti, e di insegnar loro la musica, la grammatica e l’aritmetica: uscirono costituzioni di Concilii e di Papi, per lo quali era fatto obbligo ai Vescovi di educare negli Episcopii, sotto la immediata loro