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libro v. capo xxix. 45

il tiranno Mecezio, che era a lui succeduto, Costantino, figliuolo di Costante Augusto, prese a governare il regno de’ Romani, so-

    Lazio (su di che V. Murat. Diss. 33), ritenevano l’uso della propria lingua. Qual prova maggiore per dire, che il miscuglio delle varie lingue coll’antica madre latina fece nascere la lingua italica niente prima del secolo di Carlo Magno? Il trovare qualche voce latina alterata e di forma italiana negli scrittori dei secoli d’oro, d’argento e di ferro null’altro significa, se non che il popolo antico, come abbiamo l’esempio anco al dì d’oggi, quanto era più distante o per condizione o per sito dalla gente colta, pronunziava malamente certe voci, e alcune altre ne usava di sue proprie, che non furono adoperate dagli scrittori; ma questo non formava differenza essenziale da parlare a parlare, o per dir meglio non formava due lingue, cioè l’una latino-romana, l’altra volgare. Per convincersi di tal verità, bastava il fare alcune considerazioni, che io porgerò qui in via di quesiti, ai quali se qualche filosofo di coloro che sudano in tali materie degnerassi di dare soddisfacente risposta, io sempre assai più divoto alla verità ed all’altrui dottrina, che ligio alla mia opinione, dichiaro di fare ben grata accoglienza. Domando dunque: I. Dato che per ogni parte dell’Italia occupata dai Romani si parlasse il volgare italico, ond'è che nei nostri settentrionali dialetti, e sopra tutti nel Friulano, non solo la radice, ma la desinenza delle parole è in gran parte latina? Furono forse gli scrittori, o i nuovi coloni ( giacchè il Friuli è colonia romana ) che qui introdussero le dette voci? II. Per qual ragione si pubblicavano in latino e non in volgare i decreti e le leggi municipali del popolo Romano, e degl’imperatori in qualsiasi più longinqua parte del mondo, se non perchè si voleva, che nel paese conquistato s’intendessa