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d’Italia furono inondate da tale diluvio, che da Noè in poi credesi non esservi stato l’eguale. Si convertirono in lavine1 le ville e i poderi, e fu grande mortalità d’uomini e d’animali: furono disfatti i sentieri, dissipate le strade2: e il fiume Adige per tal modo gonfiossi, che l’acqua giunse a toccare le finestre della Basilica di s. Zenone martire, la quale è situata fuori della città di Verona: contuttociò (co-

  1. Lavine e slavine son dette ancora nel dialetto Trevigiano quelle fenditure che si fanno nel terreno per cui rimane un vacuo profondo: ma più particolarmente così chiamasi quello smuoversi che fa la terra in pendio cadendo nel basso; perciò del terreno che si fende e minaccia staccarsi dall’alto e cadere al basso dicono i contadini: quel terren va de slavina. Onde quei glossatori, che dicono lavina da labina terra aquosa et mobilis ragionano secondo l’idea che è intesa dal popolo che fa uso di questa parola. Ma il Dufresne forse meglio s’addentra nel termine pensando che derivi dal vocabolo Retico Lowin, significante quei massi di neve che si staccano e piombano dalla sommità delle alpi. Quindi alterandosi la voce, si disse dai Francesi Lavine e Ravine. Di fatto anco i nostri Trevigiani pedemontani dicono a quei massi di neve che cadono dalle cime de’ monti levine o revine. Anzi un villaggio posto al cominciar dell’erta di un monte vicino a Serravalle del Trivigiano, presso cui al di dietro ed ai fianchi cadono spessissimo tali massi or di terra or di neve, si chiama, propriamente Ravine, o Revine.
  2. L’originale Destructa sunt itinera, dissipatae sunt viae.