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libro iii. capo vi. 123

gannarono molti nel viaggio, mercanteggiando certe lamette di rame, che erano in una tal maniera colorite1, che aveano tutta la sembianza di oro puro e affinato. Onde non pochi illusi da tale fallacia, dando oro per rame, furono ridotti in miseria. Arrivati finalmente al re Sigisberto, fu loro permesso di tornare al luogo d’onde erano usciti.

  1. Il nostro testo: regulas aeris, quae ita nescio quomodo erant colorotae, ut auri probati, atque examinati speciem simularent. Altri: bracteas et laminas aereas, pro aureis: erant enim nescio quo fuco coloratae. I Francesi diedero veramente prova di grande buona fede, e di ancor più grande ignoranza in questo baratto. Per altro essi pagarono la lezione in modo, che in avvenire dimostrarono di aver superato i maestri. È poi da esaminarsi, se i Sassoni abbiano portato con se dalla loro patria l’arte d’indorare con tanta illusione il metallo, oppure che quegli oggetti fossero stati da loro presi in Italia, dove si sa che, quantunque lontane dalla greca leggiadria, pur sussistevano tutte le arti. Se al tempo di Carlo Magno, cioè due secoli e mezzo dopo quest’epoca, si parla del ferrum deaurare, e del quomod eramen in colore auri transmutetur (son parole d’uno scritto antico pubblicato dal Muratori), è da presumersi che ancor meglio ciò si eseguisse al tempo della venuta dei Sassoni (Vedi la Dissert. 24. delle antich. Ital.). Nondimeno è osservabile che quei Francesi, che erano in tanta vicinanza dell’Italia, e che da tanto tempo comunicavano colla medesima, se non altro per via della guerra, non avessero alcuna cognizione di sì eleganti lavori.