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Genova nel gran giorno 25

fatto da egoismo. Disse, che riuscendo, un nuovo e brillantissimo gioiello avrebbe ornato la corona di Lui; ma non celava l’amarezza sua per la cessione della sua terra natale. E, certo per non compromettere il Re, finiva scusandosi di non avergli detto il suo disegno, per tema che egli lo dissuadesse dal fare quel passo. Mesta e solenne lettera, nella quale era serenamente espresso il dubbio e la speranza e il sentimento dell’ora. Spiace in essa quel tanto che c’è di finzione: ma insomma, i tempi erano tali, da giustificare questa ed altro.

Il Generale scriveva pure all’Esercito italiano, esortando ufficiali e soldati a star saldi nella disciplina, a non abbandonare le file per seguir lui. Scriveva all’Esercito napolitano per ricordare ai figli dei Sanniti e dei Marsi che erano fratelli dei soldati di Varese e di San Martino. E anche non dimenticava i Direttori della Società dei Vapori Nazionali, cui nella notte doveva menar via il Piemonte e il Lombardo, scusandosi di quell’atto di violenza, e raccomandandoli al paese perchè rimettesse qualunque danno, avaria o perdita che loro potesse seguirne.

In tutte quelle lettere e in parecchie altre di quel giorno, una frase qua un’altra là rivelavano un sentimento sicuro ma anche una misteriosa tristezza.


Il 5 maggio 1860.


La sera di quel 5 maggio, coloro che erano destinati a partire, ricevuto un ordine aspettato tanto, quale da solo quale con qualche amico, come se andassero a di-