Pagina:Storia dei Mille.djvu/214

200 Storia dei Mille narrata ai giovinetti


Intanto allo Stato Maggiore, il Türr, il Sirtori, gli altri non perdevano il tempo, e tutto quel pomeriggio fu dato loro a fabbricar polvere, a ordinare un poco i Picciotti, a far mettere in batteria certi vecchi cannoni cavati fuori da dove erano stati nascosti nel 1849. Altri ne furono messi su, avuti in dono o comprati dai bastimenti mercantili che stavano in rada. E i Picciotti vi facevano intorno la ronda, li lustravano e li coprivano di immagini sacre, improvvisavano fin delle laudi a quei bronzi, come se fossero eroi o santi. Il giorno appresso si sarebbe sentita la loro voce. Nei luoghi della città più affollati, sebbene l’andirivieni fosse più che mai vivo, bande musicali suonavano arie patriottiche dell’Attila, dei Due Foscari, dei Lombardi, o inni del Quarantotto; qualcuno suonava già anche «Si scopron le tombe....» E, cosa meravigliosa, invece di far adagiare gli animi nella speranza che la lotta non ricominciasse più, l’armistizio li aveva ancora concitati. Perciò si vedevano le gronde dei tetti, i balconi, le finestre, sempre più carichi di materiale da buttar giù; e tra la gente che lavorava a far sempre più alte le barricate, si sentiva dire con sicurezza che neppure centomila uomini avrebbero più potuto venir da fuori al Palazzo pretorio.


Queste erano esagerazioni battagliere. Ma cosa grande davvero, che passa l’immaginazione, fu sul tardi il ritorno di Garibaldi dal suo abboccamento coi generali borbonici Letizia e Chrétien, avvenuto a bordo della nave ammiraglia inglese. Egli vi era andato lasciando in angoscia indicibile chi lo sapeva. Ed essendo giunto a un luogo del porto detto la Sanità, proprio nel momento