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Giorni pericolosi 7

che perciò da anni, consigliando con l’esempio e con la voce agli altri principi d’Italia quelle interne riforme che dessero soddisfazione ai legittimi desiderii dei popoli, aveva mirato soprattutto a consociarli nello stesso intento di nazionalità, unico mezzo di disarmare le fazioni. Quel diplomatico doveva ricordare al Re avere il Piemonte ammonito sempre che, seguendo altra via, i governi avrebbero dovuto combattere non più le sètte, ma il sentimento universale della nazione, e che nella funesta lotta non essi sarebbero stati vincitori. L’inviato doveva anche dire che mentre la guerra era guerreggiata in Lombardia, l’ostinata neutralità del re di Napoli sarebbe considerata come una diserzione o un segreto patteggiamento coll’inimico. In quanto alle Due Sicilie, poi, doveva dire essere noto che colà più che altrove fremevano passioni ardenti, rancori profondi, ire lungamente compresse che aspettavano ansiosamente l’occasione di prorompere terribili e irrefrenate: che le occasioni non tarderebbero, e con esse gli incitamenti e le seduzioni entro e fuori del regno: che confidare nella sola forza, far puntello al trono d’armi mercenarie, era partito che non solamente doveva ripugnare all’animo onesto del giovane Re, ma partito mal sicuro e pieno di pericoli. Pensasse il Re che la presenza di un esercito francese in Italia doveva commuovere il paese dove aveva regnato Gioachino Murat; e dove era morto compianto: ci pensasse, e collegandosi sinceramente col Piemonte, dichiarasse pronta guerra all’Austria e mandasse parte dell’esercito sul Po e sull’Adige, a combattere a fianco di Vittorio Emanuele e di Napoleone. L’inviato doveva anche pregare il Re di far vuotare le carceri politiche,