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La calata a Palermo | 195 |
Il giorno appresso, mentre il fuoco, riacceso in tutti i punti sin dall’alba, lasciava indovinare ne’ regi una certa stanchezza, ma teneva pur sempre in forse dell’esito finale, Garibaldi ricevè un messaggio del generale Lanza. Questi che sin dal 28 aveva chiesto all’Ammiraglio inglese d’intromettersi per imporre una breve tregua, onde si potessero raccogliere i feriti e seppellire i morti, ma però senza voler trattare egli con Garibaldi; e dall’inglese aveva ricevuto in risposta che appunto a Garibaldi doveva rivolgersi: ora nel suo messaggio dava di Eccellenza al Filibustiere! E gli chiedeva un armistizio di ventiquattr’ore, e lo invitava a un ritrovo con due suoi generali, per trattar d’altre cose. Designava per luogo la nave ammiraglia inglese. Garibaldi concesse subito l’armistizio, accettò l’invito al ritrovo, e da una parte e dall’altra fu subito dato l’ordine di cessare il fuoco.
Erano le undici antimeridiane. Il ritrovo doveva avvenire alle ore quattordici. Ma mentre Garibaldi trattava di queste cose nel Palazzo pretorio, e sottoscriveva l’armistizio col Colonnello messaggero del Generale nemico, gli giunse un grido di tradimento, propagato sia da Porta Termini, grido terribile di cui veniva interprete a lui, smaniando, quel prete Di Stefano che gli era apparso dei primi, il mattino del 27. Insomma a Porta Termini erano giunti a marcie forzate i cinque i seimila uomini del Von Mechel e del Bosco, quelli che dal dì 24, credendo di inseguir Garibaldi in fuga, erano andati fino a Corleone. Là, avendo alla fine saputo l’inganno in cui erano caduti, s’erano rivolti volando al ritorno; ed adesso erano