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La calata a Palermo 189

di via Toledo verso porta Felice, all’altra metà di lì in su, verso al Palazzo reale. Perciò i borbonici del Palazzo non potevano più comunicare a segni con le loro navi da guerra del porto. Quel tendone era come un immenso arazzo bene istoriato, e però spiaceva vederlo sforacchiare dalle cannonate borboniche; ma dal Palazzo reale ci si erano accaniti contro. Diceva un Cattaneo da Bergamo, rimasto loro prigioniero e mandato a Garibaldi per certa ambasciata, con promessa sua che sarebbe tornato, come infatti volle tornare; diceva che i borbonici già quasi ridotti a cibarsi di lattughe, provavano dispetto e noia di quel tendone più che di tutto. Erano anche arrabbiati, perchè l’Ospedale militare pieno di risorse era stato preso dai garibaldini.

Dunque tra gli strazi che si vedevano, le buone notizie davano gran conforto. E si seguivano. Il bastione di Porta Montalto era stato preso dal colonnello Sirtori, mosso dal convento dei Benedettini alla testa di alcuni, che si erano lasciato mettere in petto il fuoco dell’eroismo da quel prete soldato. I regi dell’Annunziata erano stati costretti a sgombrare; e comparivano a Palazzo pretorio dei giovani che avevan durato a star là giorno e notte per vincere quel posto. Venivano carichi di armi, e alcuni portavano superbi mantelli tolti a quei nemici. Ma correvano intanto gli annunzi delle morti e delle ferite. Adolfo Azzi, il forte timoniere del Lombardo, era caduto con una coscia trapassata da una palla; Liberio Chiesa, chiassoso ma prode, giaceva anch’egli con una gamba spezzata.

A confortar i feriti un po’ dappertutto, andava il prete Gusmaroli da Mantova, e portava loro i saluti