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188 Storia dei Mille narrata ai giovinetti




La seconda giornata passò dunque come la prima e peggio; ma la terza furono cose indescrivibili. Tutte le vie erano ormai gremite di gente. A cagione del bombardamento, lo stare in casa era più pericoloso che lo star fuori; perchè dove una bomba cadeva su di un tetto, sprofondava giù fino a terreno, scoppiava e faceva crollar tutto. Invece per quelle che cadevano nelle piazze o nelle vie, la gente si gettava a terra, le lasciva scoppiare, poi su, si levava gridando: «Viva Santa Rosalìa, Garibaldi, l’Italia!» E si esaltava, e si lasciava pigliare da un certo cupo entusiasmo della strage, senza neppur più inorridire perchè qualcuno restava a terra morto o ferito. Di tanto in tanto si udiva uno scoppio di grida furiose qua e là; erano donne del popolo che avevano fatto la posta a qualche birro, e riuscite a pigliarlo, urlandogli «Sorcio, Sorcio!» lo malmenavano, lo straziavano a brani. Così dovevano aver urlato: «Mora! Mora!» le loro antenate dei Vespri. Senonchè ora bastava che capitasse in tempo un garibaldino a stender le mani sul birro sciagurato, e quelle donne glielo cedevano vivo, quasi contente, urlando ancora: «Viva Santa Rosalìa!» Di quei miseri servi della polizia ne furono salvati parecchi in tal modo, e pel momento venivano messi nei sotterranei del Palazzo pretorio, dove almeno nessuno poteva più torturarli.

Così le turbe si aggiravano per la città, passando da barricata a barricata pei vani lasciativi apposta; e incontrandosi ai Quattro Cantoni si incrociavano, si acclamavano e si confondevano come quattro correnti. Ivi un gran tendone tirato tra due palazzi celava la metà