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Un frate strano 153

scontento. Gli pareva d’aver imparato molto in quel colloquio, e vagamente sentiva che l’unità della patria non era tutto, che la libertà avrebbe scoperte molte piaghe, alle quali poi col tempo altri avrebbe dovuto pensare. E se ne ricordò e pensò a quel monaco trent’anni dipoi, quando proprio da quella parte dell’isola parlò più alto l’antico dolore che quegli sin da quel tempo remoto sentiva.1


I borbonici all’offensiva.


Tornando ai fatti allora presenti, i borbonici si erano svegliati la mattina del 22 maggio, certi di avere ancora in faccia Garibaldi su al passo di Renda, dove tutta la notte erano stati tenuti accesi dei grandi fuochi. Ma allo schiarirsi s’accòrsero che egli non era più là. Dove mai poteva essere andato? Forse la prima supposizione fu ch’egli si fosse ritirato indietro. Non passò loro neppur per la mente che avesse fatto quella marcia inverosimile per andarsi a porre sul loro fianco in quel nascondiglio di Parco. E non ne seppero nulla tutto quel giorno, perchè la Sicilia non dava spie, non ne seppero fino al mattino appresso, quando videro coronarsi d’armati il poggio che sorge sopra quel borgo. Certo là era lui; quelle che si vedevano non potevano essere squadre. E deliberarono di andare a trovarlo.

Il dì stesso sul vespro mossero, e parve per assalire Garibaldi in due colonne a tenaglia. Ma non era che un movimento per saggiarlo o forse per tirarselo giù nel piano.

  1. Ved. Abba, Noterelle. Bologna, Zanichelli.