Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
126 | Storia dei Mille narrata ai giovinetti |
mirarli un pezzo, in quelle loro belle mosse; ma poi diede ordine di caricarli a una delle Compagnie che appena conquistato il colle, già si erano quasi riordinate intorno ai loro ufficiali. Corse la 6ª, Carini. E quell’ultimo strascico del fatto d’arme fu presto levato. Tutta la colonna borbonica si sprofondò nel vallone, sparì un momento, poi ricomparve di là. Saliva l’erta per Calatafimi. La chiudeva un manipolo di cavalli, forse mezzo squadrone, che durante il combattimento s’era tenuto giù sullo stradale, certo aspettando di potersi gettare sui nemici vinti a sciabolarli. Invece ora proteggeva la ritirata ai suoi. Dal campo di battaglia fu vista quella gente serpeggiare su per l’erta lunga, stendersi e di nuovo sparire poi più su, a poco a poco, in Calatafimi.
Dopo la vittoria.
Sul colle conquistato riposarono i vincitori. E cominciò subito la raccolta dei feriti gravi, che non avevano più potuto reggersi, e giacevano giù pei fianchi del colle, molti, troppi, per un fatto di così pochi combattenti e di così corta durata. Tra gravi e non gravi erano 182, i morti 31. Le ferite erano orribili, lacerate, larghe, massime quelle fatte dalle palle ogivali cave dei Cacciatori. Pochi napolitani che i loro non avevano potuto portar via, si lasciavano pigliar su meravigliati di vedersi trattati bene, mentre s’erano forse aspettati d’essere uccisi. All’allegrezza della vittoria si mescolava così quella grande malinconìa. E s’era messo un vento freddo che faceva frizzar la pelle. Calavano intanto dalle montagne