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106 | Storia dei Mille narrata ai giovinetti |
zarsi fino a Salemi, grosso borgo che fu presto veduto apparire lontano in cima a un monte. Bella vista a guardarlo, ma poveri petti! La salita lassù fu faticosissima e lunga; però, quando le compagnie vi giunsero, provarono un forte compiacimento. Tutta la gente aspettava gridando: «Garibaldi! Garibaldi!» storpiandone il nome con alterazioni strane; ma insomma era un vero delirio. E le campane squillavano a festa; e una banda suonava delle arie eroiche. Via via che le compagnie giungevano nella piazza, si trovavano avvolte da uomini, da donne, persin da preti; e tutti abbracciavano, molti baciavano, molti porgevano boccali di vino e cedri meravigliosi. Ma v’erano anche dei poveretti, troppi! i quali stendevano la mano per dar a capire d’aver fame, facevano certi segni da parer nemici se non fossero stati i loro occhi pieni di umiltà. — E noi pure abbiamo fame! — rispondevano quei soldati stizziti, ma parecchi davano degli spiccioli a quella povera gente, che largiva loro dell’Eccellenza.
E Garibaldi qual è? Domandava la folla. Passava Türr. E’ questo? No. Passava Carini. Dunque sarà questo? No. Ognuno dei più belli e prestanti tra i grandi della spedizione, per essa doveva essere Garibaldi. Chi sa quale se lo immaginavano! Ma quando lo videro, quei siciliani quasi quasi si inginocchiarono. Oh che viso, che testa, che santo! Egli sorridendo si levò come potè dalla turba, e andò a mettersi al suo lavoro.
Cominciava così a formarsi intorno a lui la leggenda che pigliò poi tante forme; da quella che un angelo gli parasse le schioppettate, a quell’altra che fosse parente di Santa Rosalìa e fin suo fratello.