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In marcia 103

suonavano le arie semplici ma pungenti de’ bersaglieri di La Marmora; il passo delle compagnie era franco, nessuno si sentiva più mareggiare il terreno sotto, come il giorno innanzi dopo lo sbarco; e quando spuntò il sole cominciarono i canti.

A forse un miglio da Marsala, la testa della colonna svoltò per una via traversa che, staccandosi dalla consolare, menava verso l’interno tra vigneti allora già in pieno rigoglio. Passati i vigneti cominciarono gli oliveti, e pareva che quella prima marcia dovesse condurre a vedere maravigliose colture. Verso le undici la colonna fece il grand’alto in una conca, presso una casa bianca, fresca, silenziosa, con a ridosso delle fitte macchie d’olivi vetusti. Là, Garibaldi, seduto a’ piedi d’uno di quegli alberi, come se fosse l’ultimo di quella gran Compagnia, si mise a mangiar del pane. Tutta la conca era popolata di gruppi, tutti mangiavano gagliardamente il saporito pane di Marsala; quanto a bere, pei novellini che s’erano imbarcati senza fiaschetta, c’era presso la casa un pozzo, e intorno a questo molti facevano ressa contendendosi un poco d’acqua. Il Generale guardava con certa compassione quei poveri ragazzi: «Poveri ragazzi!» come fu udito dire egli stesso.

Ripresa la marcia, spuntato il valichetto del colle in cui giaceva quella conca, la colonna si vide davanti una distesa ondulata senz’alberi, senza case, il deserto. — Come la Pampa! — dicevano alcuni che nella loro vita avevano visto l’America. E in quel deserto s’inoltrò la spedizione, sotto un sole, ah che sole! E che peso i panni! Felici coloro che ne avevano appena indosso tanto da non andare scoperti.