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CAPO XXIX. | 315 |
glie etrusche; e questi d’una maniera di caratteri che non accenna troppa antichità: ugual cosa si riscontra nelle iscrizioni più note di Tarquinia, di Vejo, Chiusi e Volterra. Benchè in tutte parimente si vegga seguitato l’ordine primitivo della scrittura da dritta a sinistra: la medesima ortografia, pari ridondanza delle consonanti, e omissione delle vocali brevi o quiescenti: in fine tutt’altro segno scritturale della lingua parlata, essenzialmente sintetica. Sono notabilissime certe sillabe radicali di definito significato, d’onde si traggono gran numero di derivati1: sono di rilievo certe leggi fisse nelle inflessioni e terminazioni delle voci: con tutto questo s’ignora, e giova il dirlo a tentar nuove vie d’investigazione, il fondo grammaticale della lingua etrusca. Quella lingua stessa era non di meno già formata di lungo tempo, e parlavasi da tutto l'universale, innanzi che l’Etruria avesse avuto alcuna comunicazione certa con la Grecia d’oltremare, o con le sue colonie. Voci aliene v’introdussero fuor d’ogni dubbio le navigazioni frequenti e i traffici per lontani paesi; anzi per l’Ellade stessa; poichè l’idioma di qualsivoglia popolo abbia nautica, mestieri, arti e commercio, prende aumento coll’uso di nuove parole, segni di cose novelle.
L’etrusco era non solo lingua propria dei Toschi, ma qual simbolo e sovrano vincolo di nazionale identità diramavasi ancora per altri popoli e paesi din-
- ↑ Vedi Tom. i. p. 149.