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CAPO XXVIII.
Navigazione, traffici, moneta.
Un grande circuito di coste, che trapassa due mila cinque cento miglia, incominciando dal fiume Varo in sul mare di sotto fino al fondo dell’Adriatico, disponeva molto naturalmente l’animo e il talento degl’Italiani posti su lidi suoi ad esercitarsi nell’arte marinaresca. Già vedemmo per l’innanzi Liguri, Volsci, Campani, e principalmente Etruschi, darsi per usato mestiere alla navigazione, e trar da questa un sussidio grande a bene e a stato di ciascuna nazione. Poichè la via dell’onde essendo pur quella di tutti i continenti poterono essi di tal modo porsi in commercio con popoli più civili, accrescere i prodotti dell’arti paesane, introdurre nuove industrie, e moltiplicare a un tempo la somma dei contratti. Mezzi per cui la mercatura è veramente vincolo universale delle genti, e veicolo insieme della civiltà. Ma i navigatori primi, uomini animosi e gagliardi, anzichè mercatanti, non altro furono lungo tempo se non corsali o rubatori di mare. Tali si mostravano i Fenici per l’isole e le coste della Grecia fino dai tempi d’Omero: tali appariscono i Greci stessi marittimi, ed i nostri navigatori nell’età più vetusta. Nè solamente corseggiavano i Tirreni nelle parti occidentali del Mediterraneo, ma, se crediamo a Dionisio, innanzi la guerra di Troja