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CAPO XXVII. 293

sia per sostenerlo ed aprirlo, abbiano tutte nomi propri italici d’origine etrusca, sannitica o sabina. Così l’innato valore fortificato e dall’educazione e dalle leggi era portato a tal sublime grado che, in mirando alla patria soltanto, non curavano i difensori del sacrifizio della persona. Quel sentimento profondo di virtù nazionale, che presso agli Umbri, antichissimo e vero popolo italico, rendeva indispensabile il vincere o il morire combattendo, dice un antico1, non era nulla meno vivace in petto dei Sanniti, de’ Marsi, de’ Lucani, e di tanti altri prodi. Ben lo sperimentarono mille volte i Greci stanziati nell’Italia inferiore: nè senza verità diceva Alessandro Molosso qua essersi affrontato a suo danno con uomini, dove che suo nipote, il Magno, s’era in Asia riscontrato solo con femmine2. In tempi sì fattamente gloriosi di libertà e di vittoria era non pure sopportabile, ma onorando a ciascuno il servizio militare: la costanza dell’animo, la frugalità, il lavoro, riparavano prontamente ai danni della fortuna nemica3. Quindi tante repubbliche di poco stato potevano ad ogni occorrenza levare in casa

  1. Ὁμβρικοὶ ἑν ταῖς πρὸς τοὺς πολεμίους μάχαις αἰσχιστὸν ἡγοῦνται ἡττημένοι ζῆν. ἀλλ’ ἀναγκαὶον ἢ νικᾷν, ἢ ἀποθνὴσκειν. Nic. Damasc. ap. Stob. Serm. x.
  2. Aul. Gell. xvii. 21. Quinto Curzio pone in bocca di Clito le stesse parole; verum est quod avunculum tuum in Italia dixisse constat, ipsum in virum incidisse, te in foeminas. viii. 1.
  3. Veteres illi Sabini.... quamquam inter ferrum et ignes hosticisque incursionibus vastatae fruges, largius tamen condidere, quam nos. Columel. r. r. praef.