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CAPO XXVI. 271

prominenza che nell’ordine delle cose conservatrici del comune davasi alla seminagione ed alla pastorizia. I numi stessi protettori dell’Etruria avean dettato i precetti migliori della coltivatura1: l’arte di dimesticar gli alberi, di potare, letaminare e agguagliar la terra2, teneasi dai padri nostri per un trovato di Giano, agricoltore egli stesso: onde ben drittamente verace lode di qualunque buon cittadino si era il chiamarlo, come dice Catone, industre agricoltore3. I cittadini primitivi, indi il comune dei plebei, esercitando essi stessi le professioni e l’arti di che avean più bisogno, non erano di fatto altro che lavoratori. Così fu in Roma nella sua prima età. In guisa che gli abitanti delle terre e del contado, adoperando con solerzia la loro fatica, potevano a un modo con poca quantità di terreno provvedere al nutrimento loro, al comodo, alla contentezza rurale: nè meno di frequente l’aratro vedeasi guidato dalle mani stesse del gran cittadino trasferito dall’armi alla faticosa quiete. Per la prima legge agraria il dominio civile dei fondi era del popolo dei patrizj: al comune de’ clienti o della plebe si concesse soltanto il bonitario o naturale possesso dei campi assegnati, sotto l’obbligo di censo annuale o di tributo. E dove i servi s’adoperavano nelle opere villesche ben dessi potean chiamarsi grecamente penesti,

  1. Terrae ruris Etruriae: tal era, come dicemmo innanzi, il titolo d’un libro sacro. Serv. i. 2.
  2. Macrob. Sat. i. 7.
  3. De r. r. init.; Plin. xviii. 3. 6.