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220 CAPO XXIV.

alle formalità, costumavano in casa fare impastare il pane, e battere i loro schiavi con misurati colpi a tempo di flauto1. Uso italico delle donne era il salutare i parenti abbracciandoli2. Ma chi potrebbe dire quali si fossero in generale quei singolari modi ed abiti degli Etruschi, che fecero sentenziare a Dionisio3 non esser dessi somiglianti a nessun altro nel costume? Tutto riferiva quel popolo a religione. Or certe formule costanti, e certe voci etrusche d’ignoto significato, come Phleres, Tece, Turce, Clen, Tinmcuil, Muthina e simili4, che spesso ripetute si leggono in statue votive, e in molti belli arnesi, mostrano esse stesse con evidenza la singolarità, e specialità di tenace costume nazionale sia sacro, sia civile. Perciocchè tali voci si risolvono tutte in quelle formule colle quali si accompagnavano i sacrifizi, i voti, le offerte, gli alti in somma più meritorj della religione. Addurremo altri esempi nel capitolo seguente traiti dalle arti del disegno. Nè per certo v’ha luogo di maravigliarsi se usanze e fogge di vita sì fattamente nostrali appaiono di tanto radicale nel costume popolare, anco per monumenti dell’età meno antica.

  1. Aristot. ap. Polluc. iv. 56.; ap. Plutarch. de cohibenda ira. T. ii. p. 460.; Alcimus ap. Athen. xii. 3.
  2. Plutarch. Quaest. Rom. 6.
  3. Dionys. i. 30.
  4. Voci replicate ne’ monumenti tav. xxxv. 9., xxxviii. 1., xl. 1., xlii. 4., xliii. xliv. Vedi Lanzi, Saggio T. ii. p. 477 sqq. Le interpretazioni allegate posuit, dedit, e simili, sono tutte congetturali.