alle formalità, costumavano in casa fare impastare il pane, e battere i loro schiavi con misurati colpi a tempo di flauto1. Uso italico delle donne era il salutare i parenti abbracciandoli2. Ma chi potrebbe dire quali si fossero in generale quei singolari modi ed abiti degli Etruschi, che fecero sentenziare a Dionisio3 non esser dessi somiglianti a nessun altro nel costume? Tutto riferiva quel popolo a religione. Or certe formule costanti, e certe voci etrusche d’ignoto significato, come Phleres, Tece, Turce, Clen, Tinmcuil, Muthina e simili4, che spesso ripetute si leggono in statue votive, e in molti belli arnesi, mostrano esse stesse con evidenza la singolarità, e specialità di tenace costume nazionale sia sacro, sia civile. Perciocchè tali voci si risolvono tutte in quelle formule colle quali si accompagnavano i sacrifizi, i voti, le offerte, gli alti in somma più meritorj della religione. Addurremo altri esempi nel capitolo seguente traiti dalle arti del disegno. Nè per certo v’ha luogo di maravigliarsi se usanze e fogge di vita sì fattamente nostrali appaiono di tanto radicale nel costume popolare, anco per monumenti dell’età meno antica.
- ↑ Aristot. ap. Polluc. iv. 56.; ap. Plutarch. de cohibenda ira. T. ii. p. 460.; Alcimus ap. Athen. xii. 3.
- ↑ Plutarch. Quaest. Rom. 6.
- ↑ Dionys. i. 30.
- ↑ Voci replicate ne’ monumenti tav. xxxv. 9., xxxviii. 1., xl. 1., xlii. 4., xliii. xliv. Vedi Lanzi, Saggio T. ii. p. 477 sqq. Le interpretazioni allegate posuit, dedit, e simili, sono tutte congetturali.