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CAPO XXIV. 219

scorge mai che gli Etruschi, seria e malinconica nazione sì per temperamento, sì per forza d’educazione, mostrino apparentemente per alcuna iscrizione sepolcrale sensibilità di dolore, nè tampoco nessuna di quelle tenere espressioni di rammarico, che fan sacro il cordoglio: formule lamentabili sì tanto comuni nelle leggende mortuali greche e romane. Così pure nelle coppe, o in altri vasi per uso di bere, quelle gentili maniere greche di acclamazione e di saluto, che si rinvengono frequenti sopra i vasellami dipinti1, non si sono mai vedute fin ora in monumenti propri degli Etruschi.

La stessa religione del sepolcro si ritrova con pari ossequio verso i mani, e con pari osservanze coltivata per tutta Italia. Ciascun popolo si conformava in questo al costume universale: nel resto aveva per lo più usanze, maniere, e consuetudini sue proprie. Tal era quel giudizio di dio, o altrimenti quello appresso gli Umbri, in vigor del quale i duellanti, combattendo armati come in guerra, stimavano aver buona ragione colui, che di sua mano uccideva l’avversario2: costume fiero che dimostra quanto durasse tra di loro gran tempo il barbarico dritto della forza. Più specialmente gli Etruschi, che guardavano in ogni cosa

  1. Χαῖρε σύ: Χαῖρε καὶ πίει: καλὸς ναιχὶ: σὺ χαῖρε καιριέντως: e simili. Vedi tav. lxxvi. 2., xcvii. 3.
  2. Ὀμβρικοὶ ὄταν πρὸς ἀλληλους ἒχωσιν ἀμφισβήτησιν, κατοπλισθέντες ὡς ἐν πολέμῳ μάχονται. καὶ δοκοῦσι δικαιότερα λέγειν, οἱ τοὺς ἐναντίους ἀποσφάξαντες. Nic. Damasc. ap. Stob. serm. xiii.