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208 CAPO XXIV.

al vestiario etrusco degl’ingenui: dove elle talune figurine, che porgiamo sotto gli occhi del lettore, danno la forma delle povere vesti dei lavoratori, artigiani, ed altri volgari, che per essere più spediti o cingevano una fascia stretta in su i fianchi, o un giubbone serrato alla vita fino a mezza coscia1. La dignità de’ grandi cittadini spiccava bensì nelle vesti intessute d’oro, e nella toga ricamata o dipinta di forma semicircolare: diversa in questo, come nota Dionisio, dalla foggia de’ Lidj, che usavano toga quadrata2. Ed a maggiore dimostrazione o dell’ufficio, o della preminenza della schiatta, cotesti grandi usavano anche l’andare in cocchio o in lettiga, accompagnati da clienti e da servi pronti a ogni bisogno. Fregio loro speciale erano i sandali detti tirreni3: nobile calzamento di color rosseggiante, e di suolo molto alto, con cintoli d’oro: lo stesso che s’appropriarono i senatori in Roma4; e di cui Fidia non seppe rinvenire il più degno per adornarne la sua famosa Minerva5.

  1. Vedi tav. xxxvii. 8-11.
  2. Dionys. iii. 61. Bene Virgilio descrive la veste di Lauso, , quale si conveniva a giovane di nobile stato: Et tunicam, molli mater quam neverat auro. x. 818. Così nelle sculture delle urne i vestimenti si veggono spesso dipinti e screziati di più colori con fregi indorati.
  3. Τυρρηνικὰ σανδάλια: Polluc. ex Gratino vii. 86. 92. 93.; Clem. Alex. Paedagogus. T. ii. p. 11.; Hesych. s. v.
  4. Lepidus in libro de sacerdotibus ap. Lyd. de Magistr. p. rom. p. 37.; Virgil. viii. 458.; Serv. ad h. l.
  5. Polluc. l. c.