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206 CAPO XXIV.


Consisteva dapprima il vestiario muliebre in una stretta e lunga tunica prolungata sino ai calcagni, con manto alle volte sovrapposto, e con calzari a punta rilevata1: indi, per crescente lusso, si veggono usate più leggiadre forme di tuniche, vistose palle, zone, e calceamenti impudichi. Innumerabili sopra tutto sono le suppellettili di oro di fino lavoro, monili, diademi, armille, orecchini, fibule, anelli, e mille altre pompose bagattelle, che tuttodì si rinvengono entro i sepolcri delle donne, quali sono figurate per adornamento nelle loro immagini stesse2. Costumavano gl’Itali primi lunga chioma e barba non rasa, siccome veggonsi effigiati in antichissime sculture d’Etruria e de’ Volsci3: tanto per fratellanza si trovano le usanze loro esser conformi. Non altramente Virgilio, il quale ritrasse i costumi con la fedeltà d’un istorico, e con la vaghezza d’un poeta, rappresenta il toscano Mezenzio con barba lunga e distesa4. Per uguale usanza sono chiamati intonsi da Tibullo e da Orazio i Romani antichi. Nè forse prima del quinto secolo s’introdusse generalmente in Italia l’arte di

  1. Calceolos repandos.: com’era calzata la Giunone di Lanuvio, così veggonsi molte statuette etrusche di stile antico. Vedi tav. xxix. xxxii. 2., xxxiii. xxxv. 12., xxxvii. 1.
  2. Vedi tav. xlvi. lx. cv. cvii.
  3. Vedi tav. li. Ed i bassi rilievi volsci tav. i.
  4. Propexam barbam. x. 838. Tito Tazio Sabino, Romolo e Numa, hanno ugualmente lunga barba ne’ loro ritratti ideali. Visconti, Iconogr. rom. 1. 2. 3.