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CAPO XXIV. 201

lità rusticale de’ Marsi, e la rozza e schietta semplicità sabina. Le donne loro, sì giustamente vantate per la santità de’ coniugali e materni costumi, menavano una vita sobria ed esemplare, tutta intenta a opre villesche, ed a cure famigliari1: filare e tessere panni lani non si disdiceva neppure alle femmine di grande stato2. Già ne’ tempi vetusti o per consuetudine, o per legge, era stato vietato alle donne l’uso del vino3. La naturale temperanza degl’Itali, i cui figliuoli erano assuefatti a non bere altro che acqua, ed a contentarsi di poche pere e noci4, si riconosceva ognora nelle parche cene sabelle5: nè diversa era in prima la sobrietà delle mense ospitali convenienti a rozza onestà, ed a benigno costume. Quanto fossero i corpi duri e sofferenti lo manifesta l’uso de’ padri nostri di portare i figli pargoletti a’ fiumi, indurando con l’acqua fredda e col gelo le loro membra: d’addestrarli

  1. Horat. epod. od. ii. 41.; Ovid. de medic. faciei. ii. sqq.; Juvenal. vi. 163.; Martial. i. ep. 63.
  2. Ovid. l. c.; Juvenal. vi. 286-290. La rocca e il fuso di Tanaquilla , tosca d’origine, e moglie di Tarquinio prisco, si mostravano nel tempio di Sanco. Varro ap. Plin. viii. 48.
  3. Alcim. Sicul. ap. Athen. x. ii. p. 441. Secondo la mitologia, Fatua, moglie di Fauno, era stata battuta a morte per aver bevuto vino: manifesta allegoria del costume più antico. Lactant. Inst. i. 22.
  4. Naev. in fab. Ariolo ap. Macrob. Sat. ii. 4.; Posidon. Hist. ap. Athen. vi. 26.
  5. Mensa Sabella. Juvenal. iii. 169.; Fest. v. Scensa o Scesna; voce de’ Sabini per coena.