incolto saturnio, specie d’iambico irregolare, senz’altro legge che un certo numero sonoro adattato al canto1. Questa prima maniera di verseggiare, o ritmica poesia, inspirata dall’entusiasmo della passione, e invigorita da forti e ardite figure, si conservava lungo tempo ne’ carrai divoti, e ne’ rustici e guerrieri2; se bene l’arte, ordinando quei vaganti numeri con armonico metro, desse norma a più maestrevole poesia. Il canto alterno fescennino, così detto da Fescennia etrusca città3, avea modi e concetti festevoli, quanto liberi4. Propizie deità agl’itali vati erano le ninfe Camene5, molto prima che la moda del grecismo l’avesse trasformate nelle muse, figlie di Giove e di Mnemosine. Esse soltanto inspiravano nella prisca età quelle laudi o canzoni colle quali s’esaltava la bontà degli dei, s’eccitava il coraggio de’ valenti colla menzione de’ prodi, e si perpetuavano i gloriosi fatti della patria. Catone nelle Origini, rapportando il costume antico fattosi romano, dava contezza di quei carmi,
- ↑ Hermann, Elem. doctr. metr. p. 395.
- ↑ Versi saturnj erano quelli de’ carmi Arvalici e de’ Salj; le iscrizioni de’ monumenti trionfali; degli epitaffi ec. Ascon. comm. ined. in orat. pro Ardua p. 62. ed. Maio. cf. Marini, Frat. Arvali, p. 37.
- ↑ Serv. vii. 695.
- ↑ Horat. ii. ep. i. 139 sqq. et vet. interp. ad h. l.; Liv. vii. 2.
- ↑ Olim Casmenae: musae, quod canunt antiquorum laudes. Fest. s. v.