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CAPO XXII. 167

e nelle colonie, le rifiutate religioni d’Iside e di Serapide col loro seguito mostruoso seguitarono ad esservi coltivate in pubblico e in privato da’ suoi divoti con la medesima ostinazione. Forse ancora certi idoletti ritrovali in suolo etrusco, di stile egizio imitativo1, s’appartenevano essi stessi a queste straniere divozioni ripullulanti, poste in credito da coloro cui dan guadagno gli animi de’ mortali presi tanto più da superstizione, quanto è più generale la depravazion del costume. Sì di vero la nostra debole natura, tralasciale a suo grado le cose consuete, anela sempre alle vietate.

    felici, in cui le guerre civili davano a ciascuno animo di ardir tutto (Dion. xl. 47., xlii. 26). Perita la repubblica furono bensì ristabiliti dai triumviri i culti egizj, quantunque di fuori del pomerio (Dion. xlvii. 15., liii. 2., liv. 6.). All’opposto Tiberio, con sommi rigori, diede l’ultimo tracollo alla religione d’Iside in Roma, la cui immagine vi fece gettare nel Tevere (Tacit. ii.; Sveton. Tib. 36.; Jos. Flav. xviii. 3.). E non di meno indi insorse da capo più trionfale per la superstizione d’altri Cesari divoti al medesimo culto (Sveton. Othon. 11.; Lamprid. Comm. p. 49.; Spartian. Caracall. p. 89.). Che bisognava di più perchè a’ giorni di Domiziano i misteri isiaci fossero già quelli della dissolutezza? Juven. vi. 488.; et Schol. vet. ad h. l.

  1. Vedi i monumenti tav. xxxiv. 8. 11. ec.