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CAPO XXII. 165

sacrifizi, o di libamenti, o d’altre cose figurate allusive in tutto ai baccanali. Diciamo lo stesso dei vasi con pitture di simili storie, che da più d’un secolo si traggono fuori dei sepolcri della Campania, fonte d’onde si sparsero nell’Italia centrale i non leciti misteri1. Così pure in Etruria, dove più radicati, han dovuto assai lungamente durare cotesti riti, vi fossero o no sinceramente riformati: poichè non tanto l’universale superstizione del culto bacchico si rappresenta sotto differentissimi emblemi in pitture infinite di vasi, nelle patere, in intagli di scarabei, ed in altre copiose suppellettili, ma in certe urne non molto antiche, ritrovate a Tarquinia, vi si vede effigiato il defunto con vestimento e attributi di baccante2.

È credibile assai che una stessa sorte provassero gli altri popoli italiani strascinati dall’esempio e dalla inclinazione universale. Benchè, per mancanza d’informazioni storiche e di monumenti loro propri e nazionali, poco o nulla può dirsi intorno a’ cambiamenti che successero nel culto. Le tavole eugubine mostrano bensì che le religioni degli Umbri conservavano in ogni cosa il rito de’ padri e l’antica liturgia.

  1. Due capuani figli di Pacula Minia, o sia Minio ed Erennio Cerrinio, si ritrovarono fabbricatori e ministri di sì fatti sconci sacrifizi anche in Roma. Liv. l. c.
  2. Vedi tav. lix. 1. 2. Ricomparve in effetto il culto di Bacco apertamente, ed ebbe numerosi seguaci sotto gl’imperatori. Tertullian. Apolog. 7. cf. Fabret. inscript. pag. 429.