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CAPO XXII. 147

e guidarli a loro talento, con autorità poco meno che illimitata.

Grande sussidio al sacerdozio si furono ancora le solennità e pompe di religione, accompagnate sempre con ricchi doni, grassi sacrifizi, e preci divote. Di tanto coll’andare del tempo erano esse deviate, come tutte l’altre cose di culto pubblico, dalla prima semplicità de’ costumi religiosi, allora che gli dei s’appagavano di qualche umile e povera offerta1. Con solo scialacquo di latticini, e col giuoco boschereccio l’altalena, che a causa del nome dicevasi preso dagli Osci, si celebravano le antichissime ferie latine sul monte Albano2, che poscia divennero la somma e precipua solennità del Lazio3. Nè meno ingenue erano state primieramente le feste Palilie, di gran tempo anteriori a Roma4, o quelle dei campestri Lupercali, a un modo confacenti al costume semplice dei pastori5. Laddove secoli appresso tutto era ne’ sacrifizi mostra pomposa di magnificenza. Dimostrano le tavole eugubine con quale e quanto apparato s’apprestassero queste cerimonie. Canti, prieghi, formule speciali, accompagnano le oblazioni del servo degli

  1. Ara dabit fumos herbis contenta Sabinis. Ovid. Fast. i. 343.
  2. Cornificius ap. Fest. V. Oscillum.; Philaerg. ad Virgil. Georg. ii. 389.
  3. Dionys. iv. 49.
  4. Plutarch. Romul.; Tibull. ii. el. 5.
  5. Ovid. Fast. iv. 721 sqq.