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CAPO XXII. 135

figure, o in altra forma pronunziati, si manifestavano al popolo per sola esposizione d’interpetri. Eransi queste arti d’interpetrazione il mezzo più avveduto, e più universale, posto in opera dai sacerdoti onde tenere la moltitudine degli uomini sempre obbediente ai voleri del cielo: sommessa cioè alla stabilita legge. Ma se per tali instituti ne vennero dapprima all’umanità imperita molti beni, grandemente infausti le sortirono dipoi gli abusi inevitabili di quell’ordine medesimo di governo teocratico, il qual tendeva per gli aguati della superstizione a opprimere le facoltà dell’animo, o, come dice più aperto Cicerone, occuparlo d’imbecillità, di fallacie e d’errori1. Un solo spirito guidava qualunque generazione di preti a un medesimo fine. Ma per le fraudi e le superstiziose favole seminate, o che si andavan seminando per molti falsi profeti e maestri bugiardi, la massima parte degli ordini sacerdotali tralignarono sì fattamente dal loro instituto originario e santo, che alla scienza divina subentrava più sovente o la ciurmeria, o l’impostura. Così gli Irpi, progenie sacerdotale2 là sull’isolato monte Soratte, soleano andare dinanzi al popolo maravigliante a nudo piè sopra carboni ardenti, mentre che ricorreva l’annuo sacrifizio al dio posto sotto lor custo-

  1. Ut vere loquamur, superstitio fusa per gentes, oppressit omnium fert animos, atque hominum imbecillitatem occupavit. de Div. ii.
  2. Hirpias Familias.