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CAPO II. 33

loro sangue, i fondamenti di nuove comunità, con gli augurj e la scorta d’alcuno dei membri principalissimi dell’ordine sacerdotale1. Dovunque edificavasi un tempio con novelli altari ed ufficj divini, là intorno si ristringevano le genti; là s’alzavano rustici abituri; s’apriva un mercato; e colà sorgeva o un popol nuovo od una nuova terra. Così per la qualità di tempi, retti universalmente dal sacerdozio, si teneva sacro da tutti il cominciamento di queste colonie2, che propagavano da un lato all’altro le forme, gli ordini, e la tutela d’una medesima istituzione teocratica. Ché tutti a un modo, o più frenati o più giustamente corretti da quella, reputavano ventura l’aggregarsi alle sorti di un popolo bene augurato e caro agli Dei. Per la qual cosa s’intende pure chiaramente, come uno scarso numero d’uomini eletti, impugnate l’armi insuperabili del suo Dio, abbia potuto incorporarsi con altri popoli sciolti che in Italia vivevano; comunicar loro leggi e nome; e col tempo ordire società potenti. Iniziati ne’ misteri religiosi e insieme civili, i conduttori di

  1. Sisenna apud Nonium XII, 18: Dionys. I. 16.; Strabo v. p. 172; Festus, Ver. Sacr. et Mamertin. ex Alfio. Cf. Liv. XXII. 10.
  2. Sacranas acies. Festus v. Sacrani.; Sisenna l.c.; Serv. VII. 796. Ardearum volunt, qui aliquando cum pestilentia laborarent, ver sacrum voverunt. - Non diversamente fecero i Vejenti, come darebbe ad intendere una notizia assai sfigurata di Catone ap. Serv. l.c., Hos dicit Cato Vejentum (l. ex. rec. Niebuhr) iuventutem fuisse, oppidumque condidisse auxilio regi Propertii, qui eos Capenam, cum adolevissent, miserat.