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332 | CAPO XVII. |
pitagorica. Ma cotesto nome fastoso mancò interamente con la fortuna: talchè a’ giorni di Tullio se ne faceva menzione soltanto come d’un vecchio titolo, che avea il pregio infelice di rammentare la scaduta grandezza1.
Potenza e ricchezze tiran seco di sua natura brame d’onori, ostentazioni, vanità e pompe false. Quindi non v’era città nella Magna Grecia, che non ambisse trar sua origine da valor soprumano. I fuggiaschi, gli esuli, i guastatori, i violatori, i predoni, veri progenitori, si convertirono in tanti eroi e semidei. Per chimerici trovati di poeti e mitografi ebbe Taranto a suo fondatore Tara figliuol di Nettuno: Crotone Ercole: Cremisa e Petilia Filottete: Metaponto Nestore: Scillace Ulisse: in fine non poche altre città Diomede. Nè queste erano già nude voci, ma credenze di popoli interi, che traean da quelle seminate favole superstiziose e titoli d’onorificenze, e altrettanti pegni di salvezza pubblica. Sì che a Turio si serbavano per sua guardia nel tempio d’Apollo l’arco e le saette d’Ercole donate a Filottete2; a Metaponto i ferrei strumenti co’ quali Epeo fabbricò il fatale inganno3: e, per tacer d’altri luoghi, proteggeva Taranto, piena di nomi e riti spartani, il tumulo di Giacinto eroe