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302 | CAPO XV. |
della minaccia o dell’impeto nella vendetta; come assai più che in colta favella sono possenti le sclamazioni della donna calabrese facente il tribolo, in quel modo che le loro avole cantavano le nenie. Nè i moderni Calabresi, forti d’imaginativa quanto i padri loro, son meno seguaci a chi più accesamente gl’instiga. Tanta asprezza di vita, quale traevano i Lucani ed i Bruzzi, non toglieva però dai loro animi le affezioni più generose e umane che reggono la volontà nelle azioni morali: sì veramente, che per qualità naturate ne acquistaron nominanza di giusti e liberali1. Chè, se schietta virtù è di tal forma in apparenza scabra o poco amena, grande poi è l’utilità che ne deriva dal duro e amaro suo seme.
Quando scriveva Strabone queste regioni meridionali, da lui stesso visitate, erano talmente guaste e disfatte per ripetute calamità di guerra, che non era più possibile distinguere i luoghi, nè le dimore dei popoli vetusti: poichè nessuna di quelle genti, che altre volle faceva un corpo, ed avea il governo di se stessa, non conservava più nè l’uso della lingua, nè i vestimenti, nè l’armature, nè alcun altro suo proprio costume: ed oggidì, soggiunge il geografo, le abitazioni loro son fatte oscure ed ignobili2. In Lucania si trovano bensì nominate come piccole città dell’interno Potenza, Nerulo, Aprusto, Grumento e Calasarna, il