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CAPO XIV. 287

negli studiati combattimenti dell’anfiteatro, dove tanto è più vivo lo spettacolo, quanto il rischio è più grande, fu altresì un giuoco accettissimo, se non affatto un trovato degli stessi Capuani1, dai quali passò il fiero costume ai Romani. Nè senza apparato di festeggiamenti anche le cene capuane, sì opposte alla frugalità delle mense gabelle2, venian tramischiate con sangue e indegni sollazzi3. Sì fattamente una generazione scorretta ne’ suoi piaceri, anzi appetiti viziosi, andava cercando per tutte vie nelle sensazioni estreme sorgenti di ferale diletto. Per abiti e modi di vivere cotanto disordinati, è impossibile che un popolo tralignato dai nativi semi possa mai lungamente prosperare: e sì di fatto i Campani superbi per gli stessi famigliari vizi, per le brame disoneste, e per civili discordie, in meno che ottant’anni perderono signoria, stato e libertà, dando compimento alla vile, benchè spontanea dedizione di se, e di tutte le cose loro al popolo romano.

I Sanniti-Campani da poi che sedeano successori degli Etruschi e Greci nel dominio della Campania, ben si giovarono in pro loro di quanto aveva introdotto

  1. Nic. Damascen. ap. Athen. iv. 13.
  2. Juvenal. iii. 169.
  3. Liv. ix. 40.; Strabo v. p. 178.; Silius xi. 51 sqq.

    Quin etiam exhilarare viris convivia caede
    Mos olim, et miscere epulis spectacula dira
    Certantum ferro; saepe et super ipsa cadentum
    Pocula, respersis non parco sanguine mensis.