del tempio, albergo di quei venerati inganni. Fu tanta e sì universale la fama dello incantatore marso, che ne son pieni di rimembranze i classici latini: e niuno ignora, che Virgilio ebbe a grado descrivere con be’ colori poetici l’incantatrice e sovrumana possa del forte Umbrone dotato di cotal valore[1]. Ma non era già tutta ciurmeria l’arte dei Marsi: perocchè la stessa lor destrezza in risanare le ferite serpentine fu di fatto un salutare sussidio della medicina, niente meno che l’erbe medicinali de’ monti marsi[2], per la cui efficacia, meglio che col suono delle loro nenie, potean essi curare buon numero di malattie volgari[3]. Uguali medici incantatori avean pure i Peligni[4]: sebbene gli auguri, propriamente chiamati Marsi[5], e non ignari di scienza puranco astronomica[6] pare che tenessero un ministerio più degno, pertinente agli ufficj del magistrato. In ogni modo però, siccome le cose superstiziose e mirabili son più atte a piacere al popolo, che non l’utili verità, così la falsa credenza degl’incantesimi marsi si mantenne viva insino ai bassi tempi d’Eliogabalo[7]: e quasi come perpetuo documento
- ↑ Virgil. vii. 750. sqq.
- ↑ Virgil. vii. 757.; Silius viii. 497.
- ↑ Marsa naenia: marsae voces: sabella carmina: sono tutte locuzioni proverbiali.
- ↑ Peligna examina. Calpurn. ad Nemesian. ecl. iv. 151.
- ↑ Ennii, fragm. p. 225.
- ↑ Jul. Firmic. viii. 15.
- ↑ Lamprid., Heliog. p. 109.