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CAPO XII. 251

del tempio, albergo di quei venerati inganni. Fu tanta e sì universale la fama dello incantatore marso, che ne son pieni di rimembranze i classici latini: e niuno ignora, che Virgilio ebbe a grado descrivere con be’ colori poetici l’incantatrice e sovrumana possa del forte Umbrone dotato di cotal valore1. Ma non era già tutta ciurmeria l’arte dei Marsi: perocchè la stessa lor destrezza in risanare le ferite serpentine fu di fatto un salutare sussidio della medicina, niente meno che l’erbe medicinali de’ monti marsi2, per la cui efficacia, meglio che col suono delle loro nenie, potean essi curare buon numero di malattie volgari3. Uguali medici incantatori avean pure i Peligni4: sebbene gli auguri, propriamente chiamati Marsi5, e non ignari di scienza puranco astronomica6 pare che tenessero un ministerio più degno, pertinente agli ufficj del magistrato. In ogni modo però, siccome le cose superstiziose e mirabili son più atte a piacere al popolo, che non l’utili verità, così la falsa credenza degl’incantesimi marsi si mantenne viva insino ai bassi tempi d’Eliogabalo7: e quasi come perpetuo documento

  1. Virgil. vii. 750. sqq.
  2. Virgil. vii. 757.; Silius viii. 497.
  3. Marsa naenia: marsae voces: sabella carmina: sono tutte locuzioni proverbiali.
  4. Peligna examina. Calpurn. ad Nemesian. ecl. iv. 151.
  5. Ennii, fragm. p. 225.
  6. Jul. Firmic. viii. 15.
  7. Lamprid., Heliog. p. 109.