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CAPO X. 213

tanto altamente e giustamente ammirata dai Romani, debbe all’uopo servire anche a noi di testimonianza e di sussidio. Questo primo aggiunto di Casci, titolo adiettivo della lingua materna degli Osci, che davasi in comune alla nazione del Lazio, non qualificava però una gente speciale: usavasi soltanto a maggiore illustrazione della stirpe, per rispetto alla grande antichità del sangue latino1.

Stava in principio la società dei Latini raccolta nel solo breve spazio di trentacinque miglia da Tivoli sino al mare, e di venti in circa dal Tevere alle falde del monte Albano. Secondo costume villesco dimoravano essi per casali o villaggi, quivi disposti alle utili fatiche, ma liberi e indipendenti2: e questi villaggi medesimi sortirono, in progresso di tempo, la fortuna di vere e dominanti città. Per la violenza d’una moltitudine di pastori, Preneste fondò suo stato3, ed

  1. Cascum significat vetus: eius origo Sabina, quae usque radices in oscani linguam egit. Varro l.l. vi. 3. Questa stessa voce vive ancora nel vernacolo della Sabina e dell’Umbria: e noi pure toscani diciamo accasciare, accasciato ec. equivalentemente al senso primitivo.
  2. Ὧν ἔνια κατὰ κώμας αὐτονομεῖσται συνέβαινεν, ὑπ’οὐδενὶ κοινῷ φύλῳ τεταγμένα. Strabo v. p. 158.
  3. Il mito di Preneste (ut Praenestini sonant libri) aveva un Ceculo a fondatore, capo di quei feroci: indi trasformato in figlio di Vulcano: hic collectitiis pastoribus Praeneste fundavit. Cato in Originibus, et Varro libro qui inscribitur Marius aut de Fortuna ap. schol. veron. ad Virgil. vii. 681. E per la chiosa di Servio: hic collecta multiudine, post quam diu latrocinatus est, Praenestinorum civitatem in montibus condidit.