pennino per voto d’una sacra primavera, dirigendosi con auspicj divini attraverso quei sommi gioghi inverso il mare superiore. Un picchio, volatile sacro a Mamers o Marte, era lor guida; ma l’avvedutezza del vero conduttore s’aprì il passo a terre più liete; e quivi la gioventù sabina tirando a se gran moltitudine di persone col favor della sua consecrazione, e incorporandosi in quelle, pervenne da piccoli principj a costituire una nuova e ragguardevole gente, sotto il nome di Piceni1. Si può aver per certo, che questi nuovi coloni si travagliassero gagliardamente dal canto loro a spazzare la campagna e le piagge intorno, ovunque trovarono Illirici o Liburni: ma come gente alpigiana e grossa, nè si curarono della utilità ch’è nelle marine, nè mai, in alcun tempo appresso, diedero opra alle arti navali. Laddove al contrario per le comodità di un lido di tanto acconcio ai naviganti per buone stazioni, e foci di fiumi, fu la costa del Piceno poco men che un albergo di nazioni. Qui, in oltre agl’Illirici, vi si posero gli Umbri: indi v’ebber dominio gli Etruschi con floride colonie2: e finalmente, al tempo di Dionisio il vecchio, i fuggiaschi Siracusani v’edificarono Ancona3. Niun paese è più vaga-
- ↑ Orti sunt a Sabinis voto vere sacro. Plin. iii. 13.; Strabo v. p. 158, Fest. v. Picena regio.; Sil. viii. 441-442. Ma il poeta imitatore coll’usato suo arbitrio guasta tutto, mescolando col mito domestico sabino altri miti del Lazio.
- ↑ Vedi p. 123. p. 123.
- ↑ Strabo v. p. 166.