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200 CAPO IX.

tuale decadenza, e il disfacimento di moltissime terre, doveasi accagionare alle ripetute calamità di guerra; tanto che, se bene stretta di luogo, fu la Sabina nel suo fiorire sì larga di popolo, che ancora oggidì fa maraviglia il ritrovare da per tutto segni visibili di coltura, avanzi di fabbriche, e vestigie molte di luoghi abitati, finanche in sulle cime di sassosi e asprissimi monti. In queste loro dimore alpestri costantemente attesero a render gagliardi i corpi ed invitti alla fatica. E bello è il vedere i Sabini indefessi nel conservare fra tanti moti di guerra una preziosa indipendenza, contro le incessanti prove di valorosi vicini. Furono essi, come gli altri montanari di razza osca, pastori fin dall’origine, coltivatori, e guerrieri di duri, ma schietti e liberissimi costumi: e tutto in loro serbava l’impronta indigena. Nel loro grado di rusticità ben conobbero i Sabini i sublimi piaceri derivanti dalla natura, che invariabilmente congiungono la pace col lavoro, e la salute col valore. Nazione fortunata, contenta a riconoscere la sua abbondanza dall’utile fatica, e da questa tutti i vantaggi della prosperità civile. Da ciò gli abiti della temperanza; la carità verso la patria; l’integrità de’ costumi; la religione incorrotta; e quel regolato vivere antico, che meritarono in ogni secolo tante lodi alla progenie sabina: da che soli, per la forza dell’educazione, mostravano sempre all’Italia degenerata una immagine della prisca virtù, mercè di faticosi sudori. E non senza dolce compiacenza tu trovi durare negli abitanti dell'alta Sabina, ugualmente col-